Cronaca

Cercano rame rubato, trovano 'giro' di rifiuti pericolosi: 31 gli indagati

E' il bilancio dell'operazione 'Nonno del ferro' della sezione giudiziaria della Polfer. Coinvolte aziende di Bologna, Ferrara e Romagna. Un giro da oltre 5 milioni di euro

Il 'nonno del ferro' che faceva da 'testa di legno'. I paragoni con i materiali si sprecano in questa operazione della polizia giudiziaria Sezione rame della Polfer, che dietro la regia del sostituto procuratore della Dda di Bologna Stefano Orsi ha portato all'emersione di quella che secondo gli inquirenti è una rete dedita al traffico e al riciclaggio illecito di rifiuti pericolosi e speciali, di provenienza ignota.

31 persone risultano indagate a vario titolo, in un articolato sistema di prestanome che di fatto ripuliva la provenienza dei rifiuti per immetterli nel mercato lecito dello smaltimento. La cifra stimata del giro di affari risulta essere di quasi 5 milioni e 500mila euro, mentre il materiale entrato nel circuito è stato stimato in 936mila Kg, tra rifiuti pericolosi e non, dal rame alle batterie industriali.

Traffico di rifiuti scoperto dalla Polfer, le immagini del sequestro

Una indagine andata avanti due anni, partita durante controlli a campione effettuati proprio dalla Polfer, alla ricerca nei vari rottamatori di possibile rame ferroviario di provenienza furtiva.

L'oro rosso dei treni non è stato trovato, ma un nome, quello di un pensionato 80enne di Castenaso ha destato qualche sospetto. "Abbiamo iniziato a indagare quando ci siamo trovati davanti, in documenti diversi, sempre lo stesso nome" spiega alla stampa Piergiorgio Alberti, della sezione di polizia giudiziaria squadra Rame della Polfer Emilia Romagna, che illustra: "Durante un controllo di routine abbiamo individuato la sede legale dell'azienda a cui faceva capo questo soggetto, risultata essere un condominio". 

I sospetti sul 'nonno del ferro'

Di lì i sospetti sono via via cresciuti, fino a fare emergere un quadro secondo gli inquirenti abbastanza chiaro, evidenziato anche da intercettazioni telefoniche. Il pensionato, forse per arrotondare, si sarebbe fatto garante di una notevole quantità di rifiuti speciali, dei quali lo smaltimento legale è particolarmente oneroso per le aziende.

A lui, o meglio alla azienda agricola del 'nonno del ferro' che ha dato il nome all'operazione, erano riconducibili centinaia e centinaia di Kg di materiale da smaltire, tra batterie al piombo, ottone, rame, alluminio e altri metalli. Di fatto l'80enne era un prestanome, che incassava una quota parte dei proventi ricavati dal traffico.

Fulcro dell'operazione invece un capannone di Pieve di Cento, sequestrato, dove gli uomini della Polfer hanno rinvenuto una gran quantità di rifiuti e macchinari per la trattazione, come una spela-cavi industriale, adatta per asportare il rame dai cavi elettrici. il tutto però non poteva essere in quel posto, poiché l'azienda che gestiva il materiale non possedeva la licenza per lo stoccaggio, ma solo per il trattamento. In altre parole potevano sì fare da intermediari, ma non potevano lavorare e stoccare i rifiuti.

Il capannone sequestrato e le aziende collegate

A capo di questa azienda padre e figlia, entrambi anche loro sotto indagine e denunciati, rispettivamente di 68 e 27 anni, entrambi ferraresi. L'uomo, in particolare, è un 'volto noto' nell'ambito del traffico di rifiuti, con diversi precedenti specifici in materia.

Nei guai sono finite anche i titolari di diverse aziende che operavano nel mercato lecito dello smaltimento, molte delle quali collocate nella provincia bolognese, tra cui San Giovanni Persiceto, Minerbio, Castel Maggiore e Castenaso. Aziende cosidette compiacenti sono state individuate nel ravennate e nel faentino, fino a San Benedetto del Tronto, nelle Marche. Secondo gli investigatori queste aziende sapevano della provenienza sospetta del materiale che ricevevano, ma non hanno fatto i dovuti controlli, previsti amministrativamente per legge.

Ora gli inquirenti sono alla ricerca della provenienza del materiale sequestrato, le origini esatte dei metalli e delle batterie, anche se ciò si dimostrerà difficile. "Purtroppo una volta trasferiti, di questi oggetti si perde traccia storica -è il commento di Alberti- poiché non vi sono identificativi in grado di indicarne la filiera".


 


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