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Parlare in bolognese: slang sotto le due torri

Il dialetto bolognese sta morendo, ma non il suo 'slang'. In uno strano paradosso, le popolazioni giovanili autoctone hanno nel tempo rielaborato nomi e termini propri del dialetto, italianizzandoli

I TAXI COTABO PARLANO BOLOGNESE

Il dialetto bolognese sta morendo, ma non il suo ‘slang’. In uno strano paradosso, le popolazioni giovanili autoctone hanno nel tempo rielaborato nomi e termini propri del dialetto, italianizzandoli. Il dialetto vero e proprio vine parlato sempre meno, e le cause sono le più varie: dall’abbandono dell’attività nei campi, al massiccio afflusso di studenti in città, all’industrializzazione precoce, ecc.
Sta di fatto che, mentre la parlata si sta perdendo, molti vocaboli rivivono una nuova vita, seppur rinnovati da metamorfosi italianizzanti. Qui di seguito ne troverete alcuni tra i più usati e curiosi. Per approfondire il glossario bolognese invece, l’associazione Succede solo a Bologna ha dato alle stampe nel 2013 un libro nel quale, con l’aiuto di animazioni, vengono illustrati i significati delle parole. Vediamo allora dodici tra i termini più caratteristici dello slang bolognese.

Bazza

Affare poco trasparente, ma di sicura convenienza. Può riguardare occasioni sulla rete come l'acquisto sottobanco di “pezzi” per il proprio ciclomotore, così come l’ingresso in un locale perché in combutta con il titolare.

Es.:
“Ma sei riuscito a entrare?”
“Sì, c’ho la bazza con il buttafuori!”


Càrtola

Si usa per indicare un individuo ‘cool’, dal carisma superiore, colui che possiede un misto di autorevolezza e simpatia. Una persona “che è/che ha della càrtola”, è un soggetto in grado di riuscire a cavarsela anche in situazioni complicate o delicate. Data la loro estrema popolarità, sovente le càrtole non incontrano problemi particolari nel trovare uno o più partner affettivo-sessuali nei fine settimana.

Es.:
“Dovevi vedere, li ha fatti stare zitti tutti, proprio davanti al loro bar!”
“Eh, che vuoi, lui lì c’ha proprio una gran càrtola!”

Ciappino

Termine che indica un qualsiasi artefatto costruito utilizzando improvvisazione e strumenti di fortuna. Una costruzione di risulta, frutto dell’ingegno emiliano e adatta all’unico scopo di risolvere una situazione contingente. Spesso “ciappino” è utilizzato come sinonimo di espediente, di escamotage, una soluzione non ortodossa, ma che risolve il problema. Chi si diletta, anche a pagamento, con questo tipo di attività, è il cosiddetto “ciappinaro”.

Es.:
“Senti, la tapparella è incastrata”
“Eh lo so, però mi hanno chiesto un sacco di soldi per ripararla!”
“Ma va là, che ti faccio un ciappino… venti euro e sei a posto!”

Cinno

Termine con il quale si identificano di solito i bambini e i ragazzini di età infantile-prepuberale. Non ha connotazione particolare, ma sovente viene utilizzato nelle frasi di rimprovero e dileggio, normalmente ad opera degli anziani che mal sopportano il baccano e l’energia animosa dei fanciulli.
Rivolto agli adulti, può indicare sia poca saggezza che bontà d’animo.

Es.:
“Ma che buon cinno, che è quello!” (adulto)
“Oh! Cinno…! Basta con ‘sto chiasso!” (anziano vs. giovane)

Farlocco

Riferito a un oggetto che non funziona a causa della sua scarsa qualità. Normalmente è utilizzato per indicare le conseguenza di un incauto acquisto, dove il bene molto ben pubblicizzato si rivela di scarse prestazioni nell’utilizzo.

Es.: “Ma lascia stare quell’aggeggio, che è farlocco!”

Intortare

Circuire, ammansire, conquistare la fiducia di una persona per secondi fini. Di solito riferito anche al corteggiamento, ma in senso assolutamente fallimentare. Il termine deriva dalle operazioni di  guarnitura finale dei grandi dolci: un abbellimento esteriore, che però non si mangia e nasconde la sostanza.

Es.: “Eh eh, quello ha cercato di intortarla, ma lei non ne ha voluto sapere”

Paciugo

Indica sia un danno ad opera di liquidi cosparsi o fuoriusciti, che una situazione talmente aggrovigliata da non essere più risolvibile. Al paciugo è riferita anche quella poltiglia scivolosa presente in tardo autunno sulle strade collinari, dovuta allo sfaldamento delle foglie caduche sul manto ad opera delle ruote dei veicoli.

Es.:
“Non passare di là, che è c’è tutto un paciugo”
“Oh, stai attenta dopo Rastignano, che c’è del paciugo per strada”

Pilla/Pluma

Sono l’uno il contrario dell’altra. Avere la “pilla” indica uno stato di temporanea o permanente opulenza e disponibilità economica, mentre la “pluma” significa essere al verde, o meglio avere solo quella lanuggine che si deposita negli angoli delle tasche vuote dei pantaloni (da qui il termine “pluma”).

Es.:
“Oh, sei in giro da tutta la settimana. Cos’è, hai fatto la pilla?”
“Macché, non si trova da lavorare… una gran pluma!”

Rusco

Espressione comunemente usata per indicare il pattume. L’origine di questo nome è da ricercare nelle piante che circondavano le case contadine.  I cosiddetti “pungitopo”, chiamati anche “ruschi”. Come il nome suggerisce, queste piante tenevano lontani i roditori dalle cantine, ricche di vettovaglie e alimentari. Per concimare queste piante, si usava buttare le rimanenze organiche proprio nelle loro aiuole.

Es.:
“Dove vai?”
“Scendo a buttare il rusco”

Socmel/Soccia

Letteralmente, un incitazione alla fellatio. Nella parlata comune il vocabolo perde gran parte della carica dispregiativa, e assume la forma dell’intercalare. La sua forma più italianizzata e meno volgare è “sòccia”, mentre una forma ancora più morbida può ritrovarsi in un altro usatissimo intercalare bolognese, “sòrbole”. Tutti indicano stupore, meraviglia, una cosa da non credere.
Rimane comunque il significato offensivo, di solito in risposta a una provocazione.

Es.: “Sòccia, che fila che c’era alla posta!”

Tiro (dare il)

A Bologna, dare il “tiro” significa aprire il cancello di ingresso alla propria abitazione. Il termine è talmente radicato che è scritto sugli ingressi delle case della città. Il bolognese medio crede che sia un termine universale, conosciuto a tutti, un sinonimo nazionale. L’origine del nome deriva dal dispositivo puramente meccanico che permetteva alle case ricche di poter aprire la porta della corte senza uscire dalle stanze. Per farlo, bisognava tirare un robusto chiavistello, e appunto, dare il tiro.

Es.: “Oh, sono rimasto chiuso fuori. Mi dai il tiro?”

Vèz

Letteralmente “vecchio”. Intercalare dal duplice significato. In senso positivo, vuol dire “vecchio mio”, “caro amico”. Tra sodali non è insolito iniziare le frasi con un “Vèz”. Questo termine viene utilizzato spesso, in maniera negativa, anche per riprendere qualcuno, magari prima che la combini grossa.

Es.:
“Vèz, come te la passi?”  
“...però mi devi stare ad ascoltare, Vèz!”


 


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